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Nota a Sentenza della CEDU

Aggiornamento: 29 mar

ECHR 028 (2025) 30.1.2025 nel caso Cannavacciuolo ed Altri contro Italia.


Autore: TAMMARO avv. Mariacristina

ISSN: 2785-0692


Conte Massimiliano

Sommario:

  1. Introduzione;

  2. Quadro normativo di riferimento;

  3. La proposta di direttiva del Parlamento e del Consiglio Europeo;

  4. La sentenza CEDU 028;

  5. Note a margine.











  1. Introduzione

La prolungata inerzia dello Stato italiano sulle discariche diffuse ha messo a rischio la vita dei residenti di Terra dei Fuochi

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha dichiarato all'unanimità, che vi è stata una violazione dell'articolo 2 (diritto alla vita) della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo.

Il caso è stato portato innanzi alla Corte CEDU da decine di cittadini italiani e cinque associazioni, che accusano lo Stato italiano di non averli protetti dall'inalazione di gas tossici che stanno causando un aumento dei tassi di cancro nell'area e l'inquinamento delle falde acquifere. 

Si tratta di una sentenza di portata storica, che richiama alla responsabilità un'intera classe politica bipartisan, che per anni ha sottovalutato e nascosto quello che accadeva in quel territorio. 

La “Terra dei fuochi” è una terra martoriata nella sua essenza più profonda, e abbandonata nella sua tragedia, per decenni. Dal 2003 si sono succeduti 12 governi nazionali, e 5 a livello regionale senza apprestare una soluzione al problema della “Terra dei Fuochi". 


Prima di esaminare la sentenza della CEDU va analizzato il quadro normativo nel quale il provvedimento è stato reso.

I crimini ambientali, aumentati di recente in modo allarmante, sonola quarta attività criminale più redditizia al mondo, dopo il traffico di droga, il traffico di armi, il traffico di esseri umani. 

L’ultimo report del 2018 del programma delle nazioni unite per l’ambiente (Unep)(1) e dell’Interpol, stima che la criminalità ambientale, ha un tasso di crescita del 5-7% annuo, e si calcola che provochi un business compreso tra i 91 e i 259 miliardi di dollari l’anno.

La criminalità ambientale, è un fenomeno che non conosce frontiere(2) e i possibili effetti devastanti e irreversibili dei reati ambientali, generano conseguenze disastrose sull’ambiente e sulla salute umana a livello planetario. 

L’impatto della criminalità ambientale in Europa e nel mondo, comporta crescenti livelli di inquinamento dell’acqua e del suolo, comporta degrado della fauna selvatica, riduzione della biodiversità e disturbo dell’equilibrio ecologico. Tutti fattori che minacciano la stessa sopravvivenza dell’umanità. 

L’obiettivo prioritario delle società civili, non è dunque, solo quello di perseguire e contrastare i reati finanziari connessi al traffico di rifiuti, ma quello di approntare una strategia, intesa ad evitare che siano compromessi gli sforzi, tesi a proteggere la natura e la biodiversità, nonché a combattere la crisi climatica e ridurre l’inquinamento. 



  1. Quadro normativo di riferimento

Alla luce degli attuali dati sui reati ambientali commessi in Europa, e ancor di più a seguito dell’insoddisfacente contrasto agli stessi, attraverso gli strumenti fino ad oggi previsti, la Commissione Europea, ha messo in dubbio che sia stato effettivamente realizzato un rafforzamento complessivo del sistema di prevenzione e repressione dei crimini ambientali. 

La valutazione della direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente, compiuta dalla Commissione Europea il 28 ottobre 2020, ha rilevato che la stessa non ha pienamente raggiunto i suoi obiettivi e che, nonostante qualche progresso, permangono notevoli divergenze tra gli Stati membri. Dall’analisi è infatti emerso quanto segue.

 Il numero di casi di reati ambientali perseguiti con successo è stato troppo basso. Le sanzioni fino ad ora applicate, troppo lievi, per costituire un deterrente efficace. La cooperazione transfrontaliera, insufficiente.

Nel report “Progetto strategico sulla criminalità ambientale” pubblicato da EuroJust(3), si legge che “gli autori dei crimini ambientali restano spesso invisibili ai radar”. 

Il report, mette in risalto la potenza del crimine organizzato, legato ai reati ambientali che coinvolgono più Paesi, e tuttavia rileva che solo una parte di questi viene segnalata, che le condanne delle autorità nazionali sono pochissime, e le sanzioni deboli.

In effetti, l’efficace attuazione della politica dell’Unione in materia di protezione ambientale, richiede misure più forti, sulla prevenzione e lotta alla criminalità ambientale(4), ed è in tale ottica che si dirige la nuova proposta di direttiva della Commissione Europea(5), volta a sostituire la precedente (2008/99/CE), al fine di rendere più efficace la tutela dell’ambiente, obbligando gli Stati membri a adottare misure di diritto penale.

La direttiva 2008/99/CE(6)  sulla tutela penale dell’ambiente, che ha costituito sino ad ora la principale fonte normativa di riferimento, è stata oggetto di valutazione da parte della Commissione Europea nel 2019 e nel 2020. 

All’esito dell’approfondita analisi sono stati riscontrati svariati profili di criticità, che si sono tradotti in un limite, per la direttiva, ad operare quale effettivo strumento di deterrenza e contrasto ai crimini ambientali. 

La prima criticità, è rappresentata dal fatto che, il campo di applicazione della direttiva è definito in modo complesso. Vengono utilizzate definizioni poco chiare per la descrizione dei reati ambientali(7), ostacolando l’efficacia delle indagini, dei procedimenti giudiziari e della cooperazione transfrontaliera. 

A causa dei termini giuridici indefiniti inclusi nelle definizioni dei reati, ciascun legislatore nazionale ha goduto di un ampio margine di discrezionalità nella selezione delle condotte punibili. 

Questo fattore, ha generato di fatto, difformità tra uno Stato membro l’altro, sia nelle definizioni giuridiche degli illeciti ambientali, sia nella scelta dei criteri per la valutazione della loro gravità, sia  e conseguentemente, nei livelli delle sanzioni imposte(8). 

La diversità delle previsioni concernenti le conseguenze sanzionatorie delle violazioni ambientali, si sostanzia in una sensibile divaricazione del rischio penale, che non è assolutamente plausibile(9), a fronte di comportamenti di identico disvalore. 

La divaricazione del rischio penale, ha fatto sì che i crimini ambientali, che spesso hanno carattere transnazionale, ha indebolito anche il coordinamento fra forze di polizia e autorità giudiziarie, dei diversi Stati membri, facendo sì che, la cooperazione transfrontaliera, si rilevasse inefficace e asistematica. 

La seconda criticità, va ravvista nel fatto che, neppure la scelta di estendere la responsabilità per le violazioni ambientali, anche alle persone giuridiche, è risultata efficace. 

Infatti, sebbene questa scelta sia basata sul presupposto, fondato, che le forme di reato più gravi, in materia ambientale, sono spesso realizzate nell’esercizio di attività economico-produttive, la previsione dell’obbligo di introdurre nella legislazione degli Stati membri, una responsabilità da reato degli Enti, non è stata accompagnata da una qualificazione della stessa, come necessariamente penale. 

Sicché, vi è stato un proliferare di elementi di disomogeneità della risposta punitiva, all’interno dei vari ordinamenti degli Stati membri, perché, mentre alcuni di essi hanno previsto la responsabilità penale delle persone giuridiche, altri, hanno previsto solo una responsabilità amministrativa. 

Orbene, la mera imposizione di una pena pecuniaria, non trasmette alla società il messaggio che la condotta criminosa dell’Ente sia assolutamente intollerabile, bensì, trasmette l’impressione che il crimine sia accettabile, a condizione che l’impresa ne paghi il prezzo. 

Questo atteggiamento del Legislatore, deprime fortemente la fiducia della comunità, nei confronti del sistema e della sua efficacia deterrente. 

Infatti, considerato che i reati ambientali più gravi, sono commessi proprio nell’ambito dell’attività d’impresa e per un fine di lucro, in un tale contesto è ampiamente diffusa, in coloro che svolgono attività imprenditoriali, la tendenza a considerare le sanzioni pecuniarie quale elemento del rischio connesso all’attività di impresa, il cui costo viene poi esternalizzato. 

In questa prospettiva, quindi, il venir meno dell’obbligo di prevedere sanzioni detentive per le violazioni ambientali più gravi, rimettendo la scelta circa la tipologia della sanzione penale, alla discrezionalità dei legislatori nazionali, rende l’opera di adeguamento ai dettami della direttiva 2008/99/CE, priva di qualunque reale valore, in termini di una maggiore efficacia deterrente, nei confronti delle persone fisiche, che svolgono attività imprenditoriali.  

La terza criticità, si rintraccia nell’attribuzione della rilevanza penale, solo a comportamenti concretamente dannosi, per la risorsa ambientale o per l’integrità fisica dell’essere umano e non anche sul pericolo di danno. 

Il punto nodale della fattispecie incriminatrice viene infatti, individuato sulla base delle conseguenze lesive prodotte, e più precisamente, sul fatto che queste provochino il decesso o lesioni gravi, alle persone, o danni rilevanti alla qualità delle componenti essenziali dell’ambiente(10). 

La Direttiva quindi introduce un modello di diritto penale ambientale incentrato sul danno, piuttosto che sul pericolo. Elenca, infatti, tutta una serie di azioni, la cui punibilità dipende dal fatto che queste, arrechino un grave pregiudizio all’ambiente e/o alle persone. 

Ulteriore criticità, va individuata nella carenza di dati(11) statistici affidabili, accurati e completi nei procedimenti aventi ad oggetto reati ambientali negli Stati membri, che ha impedito ai decisori politici, di monitorare l’efficacia delle loro misure.

Non da ultimo, va rilevata la mancanza di un’armonizzazione(12) delle normative degli Stati membri, nel settore dei reati ambientali, che viceversa, è imprescindibile, dato il carattere sovente transnazionale, delle più gravi forme di criminalità ambientale. Questo carattere, discende, oltre che dall’intrinseca natura transnazionale di alcune delle condotte illecite, che compongono la vasta ed eterogenea categoria dei reati ambientali (come ad esempio, il traffico di rifiuti o il commercio di specie protette),anche da fattori relativi alle caratteristiche dei soggetti, che l’indagine criminologica rivela essere autori delle violazioni stesse. 

In questa prospettiva, è da sottolineare il crescente coinvolgimento della criminalità organizzata, nella perpetrazione dei reati ambientali, da cui è scaturito un ulteriore fattore, che ha ridotto l’impatto della direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente. Il riferimento va, in particolare, alla mancata previsione della circostanza aggravante, costituita dalla commissione di reati ambientali in seno ad organizzazioni criminali, nonché dei livelli minimi dei massimi edittali delle pene, e delle sanzioni pecuniarie, da prevedere per tale ipotesi aggravata.

Pertanto, il coinvolgimento della criminalità organizzata, giustifica e rende necessaria, l’armonizzazione, in materia di conseguenze penali, delle violazioni ambientali, al fine di evitare che gli autori dei reati, giovandosi delle libertà garantite dal Trattato, possano trarre vantaggio, per i propri fini, dalle asimmetrie che esistono nelle normative dei singoli Stati membri.



  1. La proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio

Il 15 dicembre 2021, la Commissione Europea ha presentato una proposta per rafforzare la protezione dell’ambiente nell’Unione Europea, attraverso il diritto penale(13).

La base giuridica della proposta di direttiva, è l’articolo 83, paragrafo 2, TFUE, che prevede la competenza dell’Unione a stabilire, tramite direttive, norme minime, relative alla definizione dei reati e delle sanzioni, allorché il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri in materia penale, si riveli indispensabile, per garantire l’attuazione efficace, di una politica dell’Unione, in un settore che è stato oggetto di misure di armonizzazione.

La disposizione dell’articolo 83, paragrafo 1, TFUE, testimonia la definitiva assunzione di una forma di competenza penale (pur sempre indiretta ma) autonoma “relativa alla definizione dei reati e delle sanzioni in sfere di criminalità particolarmente grave, che presentano una dimensione transnazionale, derivante dal carattere o dalle implicazioni di tali reati o da una particolare necessità di combatterli su basi comuni”

Sfere di criminalità puntualmente definite nel prosieguo della disposizione: “terrorismo, tratta degli esseri umani e sfruttamento sessuale delle donne e dei minori, traffico illecito di stupefacenti, traffico illecito di armi, riciclaggio di denaro, corruzione, contraffazione di mezzi di pagamento, criminalità informatica e criminalità organizzata”. Il catalogo è ampliabile su decisione all’unanimità del Consiglio, previa approvazione del Parlamento(14). 

In questi settori, attraverso la procedura legislativa ordinaria, è possibile l’adozione di direttive finalizzate all’introduzione di sanzioni penali. 

Per affrontare i problemi individuati, la Commissione definisce sei obiettivi: 

  • migliorare l’efficacia delle indagini e delle azioni penali mediante l’aggiornamento dell’ambito di applicazione della direttiva; 

  • chiarire o eliminare i termini vaghi utilizzati nelle definizioni di criminalità ambientale; 

  • garantire tipi e livelli di sanzioni efficaci, dissuasivi e proporzionati per la criminalità ambientale;

  • promuovere indagini e azioni penali transfrontaliere; 

  • migliorare il processo decisionale informato sulla criminalità ambientale attraverso il miglioramento, la raccolta e la diffusione di dati statistici; 

  • migliorare il funzionamento della catena di applicazione (formazione, coordinamento e cooperazione, risorse, approccio strategico).

Quindi: 

  • previsioni più puntuali in merito alla descrizione delle condotte punibili; 

  • previsione di ulteriori categorie non contemplate dalla direttiva 2008/99/CE, tra cui: il commercio illegale di legname, il riciclaggio illegale di navi e l’estrazione illegale di acqua, prevedendo per ognuna di esse la necessità di sanzioni penali, al fine di garantire l’effettiva attuazione delle politiche dell’Unione in materia di protezione dell’ambiente;

  • previsione di sanzioni che siano effettive, proporzionate e dissuasive, con l’introduzione(15) di obblighi ricollegare a ciascuna classe di condotte il minimo di massimo edittale adeguato, rispetto alla gravità delle violazioni ambientali considerate(16). 

Rappresenta un reale progresso qualitativo, nella protezione del bene ambiente, la determinazione non soltanto della species, ma anche del quantum di pena. 

In particolare la fissazione - in funzione della gravità delle violazioni ambientali considerate - del livello minimo e massimo edittale per categorie di reati(17).

Rilevante è altresì la previsione introdotta dall’articolo 13, rubricato: “Tutela delle persone che segnalano reati ambientali o assistono le indagini”

Posto che una lotta efficace contro la criminalità ambientale richiede anche la mobilitazione dei cittadini e della società civile, tale disposizione riguarda la tutela delle persone quali informatori, difensori dell’ambiente, e altri, che riferiscono informazioni o forniscono prove a un’indagine relativa ai reati ambientali. Tali soggetti, segnalando violazioni del diritto ambientale dell’Unione (come fanno da anni le associazioni di genitori presenti sul territorio), rivestono un ruolo chiave nella denuncia e nella prevenzione delle stesse, svolgendo un servizio di interesse pubblico e salvaguardando così il benessere della società(18). 

Degne di nota sono poi le novità introdotte sul fronte del rafforzamento dell’efficacia della cooperazione tra le forze dell’ordine. 

Allo scopo di rendere più efficaci le indagini e i procedimenti penali pertinenti, la proposta intende fornire sostegno agli ispettori, alla polizia, ai pubblici ministeri e ai giudici attraverso formazione, strumenti investigativi, coordinamento e cooperazione(19), nonché una migliore raccolta di dati e statistiche(20). Questa disposizione mira ad affrontare l’attuale limitata disponibilità di dati sulla criminalità ambientale, che contribuirebbero a valutare l’efficacia dei sistemi nazionali nella lotta ai reati ambientali.

Nella lotta alla criminalità ambientale è importante avere il maggior numero possibile di agenzie coinvolte, pur tuttavia non esiste un’autorità centrale con competenze generali in grado di definire politiche e priorità. La cooperazione è frammentata(21) e per questo motivo può risultare difficile garantire un impegno coordinato e strutturato in merito a tale responsabilità nazionale. Conseguentemente il Consiglio dell’Unione ha sottolineato l’utilità di istituire un organismo centrale, o una piattaforma o struttura permanente, a livello centrale,al fine di cooperare e coordinare i lavori delle autorità competenti, tra cui procuratori e giudici, allo scopo di garantire la coerenza tra tutti i soggetti impegnati nella lotta alla criminalità ambientale e di aumentare la resilienza del sistema di contrasto in materia ambientale. 



  1. La sentenza CEDU 028 (2025) 30.01.2025 nel caso Cannavacciuolo e altri c. Italia (ricorso n. 51567/14 e altri tre)

In questo contesto legislativo, il 31.01.2025 con sentenza definitiva, la Corte di Strasburgo ha sostenuto che l'Italia non ha adottato quelle misure necessarie a combattere il fenomeno delle discariche abusive e dei roghi in Campania, nell'area compresa tra Napoli e Caserta (la c.d. Terra dei Fuochi)(22), ed ha condannato l'Italia, sostenendo che le sue autorità mettono a rischio la vita delle persone che risiedono in quell’area.

Infatti, quel territorio è da decenni luogo di discariche abusive, dove negli anni si è verificato il fenomeno dell’interramento e dei roghi di rifiuti anche tossici, con conseguente esalazioni di gas nocivi.

La Cedu ha stabilito, che l'Italia, pur conoscendo la situazione, non ha adottato le dovute soluzioni, e per questo deve introdurre urgentemente misure in grado di affrontare il fenomeno dell'inquinamento, che impatta sulla salute dei cittadini residenti in quell'area.

Secondo la Corte, esiste un rischio per la vita "sufficientemente serio, grave, reale e accertabile come imminente", e non si riscontrano prove sufficienti di una "risposta sistematica, coordinata e completa da parte delle autorità", né lo Stato italiano, che era a conoscenza del problema da molti anni,  è riuscito a dimostrare di aver intrapreso tutte le azioni penali necessarie per combattere lo smaltimento illegale dei rifiuti, neppure nell’ambito della prevenzione e della comunicazione dei rischi alla popolazione.

La Corte CEDU afferma: "data l'ampiezza, la complessità e la gravità della situazione, era necessaria una strategia di comunicazione completa e accessibile, per informare il pubblico in modo proattivo sui rischi potenziali o reali per la salute e sulle azioni intraprese per gestire tali rischi. Questo non è stato fatto. Anzi, alcune informazioni sono state coperte per lunghi periodi dal segreto di Stato".

La Corte ha quindi stabilito che l'Italia, ha due anni di tempo per introdurre le misure a tutela della salute degli abitanti della c.d. Terra dei Fuochi, e che l'Italia deve introdurre, senza indugio, misure generali in grado di affrontare in modo adeguato il fenomeno dell'inquinamento in questione.

La Corte, evidenzia altresì, che i progressi nel valutare l'impatto dell'inquinamento sono stati lenti, quando invece occorreva celerità. 

L'Italia è stata condannata per non aver affrontato il problema dell'interramento e dello scarico di rifiuti tossici da parte di gruppi criminali organizzati nella Campania meridionale, e con un verdetto unanime, la CEDU ha stabilito che l'Italia ha violato l'articolo 2 (diritto alla vita) della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, perché ha sostanzialmente messo in pericolo gli abitanti di quella vasta area tra Napoli e Caserta. 

La CEDU, ha rilevato che “lo Stato italiano non ha affrontato una situazione così grave con la diligenza e la tempestività necessarie - nonostante fosse a conoscenza del problema da molti anni - in particolare nel valutare il problema, nel prevenire la sua continuazione e nel comunicare al pubblico interessato”

La CEDU ha dato atto del fatto che lo Stato Italiano ha preso provvedimenti solo a partire dal 2013(23), cioè in un momento tardivo rispetto al manifestarsi del fenomeno, e comunque in misura insufficiente, sicché non è neppure possibile individuare con precisione le aree ancora da decontaminare.

L’Italia ha due anni di tempo per elaborare una strategia globale per affrontare la situazione, in un'area in cui vivono quasi tre milioni di persone, e che ha visto aumentare i casi di cancro, e di malformazioni congenite.

La CEDU, ha aggiunto che durante i due anni messi a disposizione per elaborare la sua strategia, lo stato italiano deve provvedere ad effettuare la mappatura e la bonifica dei territori inquinanti, nonché ad istituire una piattaforma di monitoraggio indipendente, la creazione di una piattaforma di informazione pubblica, subordinando all'ottemperanza a tali raccomandazioni, la valutazione circa il risarcimento dei danni morali alle vittime.

La CEDU ha altresì rappresentato che, nelle more dei due anni,i 36 ricorsi ancora pendenti relativi a circa 4.700 richiedenti sulla questione, saranno rinviati.

Per decenni, i rifiuti industriali, spesso provenienti dal Nord Italia, sono stati bruciati all'aperto in questa vasta area, soprannominata “Triangolo della morte”. Invece di pagare somme esorbitanti per smaltirli legalmente, le aziende pagavano alle organizzazioni criminali, una frazione del costo, per scaricarli in campi, pozzi e laghi. Questo avveniva sotto gli occhi di tutti ma per anni il fenomeno è stato ignorato. 

La sentenza della CEDU, è vincolante, e lo Stato italiano è obbligato a rispettarla, anche se la Corte non ha un meccanismo per obbligare a farlo. 

La sentenza non è ancora definitiva, perché tutte le parti coinvolte hanno tre mesi di tempo dal deposito della sentenza, per proporre appello avverso la stessa, innanzi alla Grande Chambre(24), che pronuncia in seconda istanza sulle sentenze della CEDU.



  1. Note

(1)  Il Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (UNEP) con sede a Nairobi (Kenya) è un’organizzazione internazionale che opera dal 1972 in diverse parti del mondo contro i cambiamenti climatici a favore della tutela dell'ambiente e dell'uso sostenibile delle risorse naturali, è costituita da personale altamente qualificato, che prende le decisioni sulle politiche ambientali e sulle attività da svolgere in aree di particolare interesse.

(2) Ha un carattere trasversale che interessa varie autorità a livello nazionale, per questo motivo il Consiglio dell’Unione, nella sua valutazione del 2019, ha affermato: “un approccio multidisciplinare è fondamentale per prevenire e combattere efficacemente questo fenomeno. In tale contesto, affinché il sistema ambientale nazionale e l’azione di contrasto in questo settore siano ben funzionanti, sono essenziali un coordinamento interistituzionale stretto ed efficace e una cooperazione tra i diversi attori pubblici a livello operativo e strategico, nonché tra le autorità centrali e locali/regionali, al fine di coordinare le iniziative e rafforzare lo scambio di dati, l’assistenza tecnica e le tecniche investigative”. 

(3) Agenzia dell’Unione europea che si occupa della cooperazione giudiziaria in materia penale,

(4) In generale, sul rapporto tra competenza penale dell’Unione e tutela ambientale, v. V. MITSILEGAS, A. M. FITZMAURICE, E. FASOLI, The relationshipbetween EU criminal law and environmental law, in V. MITSILEGAS, M. BERGSTRÖM, T. KONSTADINIDES (eds.), Researchhandbook on EU criminal law, Cheltenham, 2016, p. 272 ss.; M. FAURE, The evolution of environmentalcriminal law in Europe: a comparative analysis, in A. FARMER, M. FAURE, G. M. VAGLIASINDI (eds.), Environmental crime in Europe, Oxford, 2017, p. 267 ss.

(5)  COM (2021) 851 final., proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 2021, sulla protezione dell’ambiente attraverso il diritto penale e che sostituisce la direttiva 2008/99/CE.

(6)  Direttiva 2008/99/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, sulla tutela penale dell’ambiente. Al fine di garantire “un elevato livello di tutela” dell’ambiente (considerando nn. 1 e 14), il 19 novembre 2008 il Parlamento europeo e il Consiglio hanno emanato, con procedura ordinaria, ai sensi degli artt. 174, par. 2 e 175 TCE la direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente.

(7)  La direttiva fa infatti ricorso a formule vaghe e generiche riferendosi a “danni rilevanti” per le risorse ambientali, a “deterioramento significativo” delle stesse ovvero di un habitat, a “quantità non trascurabili” di rifiuti o a “quantità trascurabili” di esemplari di specie animali o vegetali

(8) Il volto variegato e composito del quadro sanzionatorio attualmente esistente negli ordinamenti considerati solleva notevoli perplessità con riguardo alla mancata armonizzazione delle sanzioni da parte della direttiva 2008/99/CE. In tal senso, A. LUCIFORA, Spunti di comparazione e nuove prospettive di armonizzazione del diritto penale dell’ambiente: scelte di politica criminale e tecniche di tipizzazione, in Rivista trimestrale di diritto penale dell’economia, nn. 1-2, 2019, p. 230.

(9) G. M. VAGLIASINDI, La direttiva 2008/99/CE e il Trattato di Lisbona: verso un nuovo volto del diritto penale ambientale italiano, in Diritto del commercio internazionale, n. 3, 2010, p. 489

(10)  Tale formulazione è usata per le ipotesi previste dall’art. 3, lett. a), b), d), e), h) della direttiva

(11) Nella relazione finale dell’ottavo ciclo di valutazioni reciproche in merito alla criminalità ambientale del Consiglio dell’Unione europea del 15 novembre 2019, si legge: “Nella maggior parte degli Stati membri i dati statistici inerenti alla criminalità ambientale, compresa quella nel settore dei rifiuti, sono insufficienti, frammentati e basati su molteplici fonti statistiche singole, perché sono raccolti separatamente da ciascuna autorità coinvolta nella prevenzione e nella lotta alle forme di criminalità, senza alcun tipo di interconnessione o integrazione. L’assenza di dati consolidati sui reati ambientali segnalati determina la mancanza di informazioni e analisi dell’intero flusso di casi comunicati da autorità amministrative, forze di polizia, procure e tribunali. Non è pertanto possibile avere una visione d’insieme della portata di questi fenomeni criminali e adattare di conseguenza le misure e le azioni nazionali”.

(12) La dottrina da tempo rileva che l’armonizzazione, per essere effettiva, non può limitarsi alle sole sanzioni, ma deve investire anche quegli istituti di diritto penale sostanziale (come ad esempio la recidiva, le circostanze, il concorso di reati, la sospensione condizionale) e di diritto processuale che incidono sulla concreta applicazione della pena. In tal senso, R. SICURELLA, La tutela “mediata” degli interessi della costruzione europea: l’armonizzazione dei sistemi penali nazionali tra diritto comunitario e diritto dell’Unione europea, in G. GRASSO, R. SICURELLA (a cura di), Lezioni di diritto penale europeo, Milano, 2007, p. 377

(13) Proposta di DIRETTIVA DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO sulla tutela penale dell'ambiente, che sostituisce la direttiva 2008/99/CE  Bruxelles, 15.12.2021 COM(2021) 851 final 2021/0422 (COD)  

(14)  Sul tema, in dottrina, v. A. BERNARDI, La competenza penale accessoria dell’Unione Europea: problemi e prospettive, in Diritto penale contemporaneo, n. 1, 2012, p. 43 ss.

(15) Questa è la novità rispetto alla Direttiva 200/99/CE

(16)  L’articolo 5, paragrafo 2, suggerisce di fissare un minimo comune denominatore: se il reato causa o rischia di provocare lesioni gravi a un individuo o di provocarne il decesso, gli Stati membri devono prevedere almeno una pena detentiva fino a dieci anni. Inoltre, il paragrafo 5 della medesima disposizione propone ulteriori sanzioni o misure aggiuntive per gli autori dei reati, come l’obbligo di ripristinare l’ambiente entro un determinato periodo di tempo, e l’esclusione dall’accesso ai finanziamenti pubblici e alle procedure di appalto o la revoca delle autorizzazioni amministrative. 

(17)  L’articolo 5 della proposta di direttiva prevede infatti diversi limiti per categorie di reati: ad esempio, il paragrafo 2 stabilisce che: “Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché i reati di cui all’articolo 3 siano punibili con la reclusione non inferiore a dieci anni se provocano o possono causare la morte o lesioni gravi alle persone”. Il successivo paragrafo 3 stabilisce che: “Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché i reati di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettere da a) a j), n), q), r), siano punibili con la reclusione massima di almeno sei anni”.

(18) I potenziali informatori sono spesso poco inclini a segnalare inquietudini e sospetti, nel timore di subire ritorsioni, per questo motivo la Commissione ritiene necessario che essi abbiano la garanzia di essere protetti; in particolare, beneficiando di una protezione equilibrata ed efficace quale è quella prevista dalla direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione.

(19) L’articolo 19 (rubricato: coordinamento e cooperazione tra le autorità competenti all’interno degli Stati membri) richiede agli Stati membri di garantire il coordinamento e la cooperazione a livello strategico e operativo tra tutte le loro autorità competenti coinvolte nella prevenzione e nella lotta contro la criminalità ambientale.

(20)  L’articolo 21 del progetto di direttiva impone agli Stati membri di raccogliere, pubblicare e inviare alla Commissione dati statistici pertinenti; e a quest’ultima l’obbligo di pubblicare regolarmente una relazione basata sui dati statistici forniti dagli stessi. 

(21) Le forme, le modalità e i livelli di cooperazione e coordinamento tra i soggetti impegnati nella lotta alla criminalità ambientale variano da uno Stato membro all’altro. Attualmente, in molti Stati membri non esiste un quadro giuridico per la cooperazione tra le varie autorità nei casi riguardanti la criminalità ambientale, compresa quella nel settore dei rifiuti, e la cooperazione interistituzionale avviene per lo più su base ad hoc e informale, mediante contatti interpersonali, senza un accordo formale tra le varie autorità. 

(22) Dove è stato registrato un aumento di alcuni tipi di cancro soprattutto in età pediatrica ed altre malattie e malformazioni.

(23) Dopo le rivelazioni del pentito di camorra Carmine Schiavone. Ma la gente, soprattutto i bambini, morivano già da tempo.

(24)  La Grande Camera è costituita dal Presidente e dal Vice-Presidente della Corte, dai presidenti delle Sezioni, dal giudice nazionale e dagli altri giudici, selezionati a sorteggio. Il procedimento dinanzi alla Grande Camera può essere instaurato in due modi: con rinvio e con rimessione. Dopo l’emissione della sentenza da parte della Camera, le parti possono richiedere il rinvio del caso alla Grande Camera; tali richieste tuttavia, vengono accolte soltanto in via eccezionale.








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