Destrutturare la fede deviata: Italia e Nigeria a confronto sulla strumentalizzazione religiosa da parte delle associazioni di stampo mafioso.
- Del Priore P.hd Martina

- 9 set
- Tempo di lettura: 16 min
Autore: DEL PRIORE P.hd Martina
ISSN: 2785-0692

Sommario:
Introduzione;
Mafia e Religione;
Un focus sulle mafie nazionali;
Il magistero pontificio contro la mafia;
La mafia nigeriana;
L'editto dell'Oba del Benin;
Conclusioni;
Bibliografia.
Introduzione
Il presente articolo si propone di analizzare ed approfondire il ruolo della fede religiosa all’interno delle dinamiche delle organizzazioni criminali di stampo mafioso, con particolare riguardo alle mafie nazionali e alla mafia nigeriana, cercando di decodificare le manipolazioni religiose poste in essere dai gruppi malavitosi al fine di cercare di dettare una corretta interpretazione del fenomeno manipolativo.
Lo studio si concentrerà sulle modalità utilizzatedai clan per fidelizzare gli affiliati, rafforzare il potere del gruppo- sia internamente che esternamente -, esercitare un controllo sul territorio e codificare messaggi.
Saranno approfondite alcune tra le azioni realizzate da parte dei leader religiosi per fronteggiare tale uso distorto della fede religiosa, al fine di permettere agli affiliati – fedeli di evitare di essere vittime delle condotte manipolative poste in essere dai leader delle organizzazioni criminali.
Mafia e religione: uno strano rapporto
Il rapporto tra religione e mafia caratterizza molte tra le più rilevanti associazioni di criminalità organizzata di stampo mafioso presenti al mondo. Questo avviene in quanto, a differenza di altre tipologie di organizzazioni criminali, la mafia si caratterizza per somigliare sotto molti aspetti ad un vero e proprio ordinamento giuridico originario, che, seppur in antitesi ad altre organizzazioni giuridiche (come lo Stato o la Chiesa), presenta dei caratteri a questo analogo.
Le organizzazioni di stampo mafioso presentano i tre elementi costituiti degli ordinamenti giuridici, delineati da Santi Romano ne L’ordinamento giuridico (1917), ovvero la plurisoggettività, la normazione e l’organizzazione. Tali organizzazioni sono costituite, infatti, da una molteplicità di soggetti, provenienti da diversi gruppi, organizzati secondo una struttura, idonea a produrre norme e regole di condotta, per la cui infrazione è previstauna punizione comminata da appartenenti al gruppo.
Le associazioni di stampo mafioso non nascono al solo fine criminale, ovvero per la commissione di uno o più delitti, ma rappresentano qualcosa di più, esistono a prescindere dalle azioni illecite commesse, sono organismi altamente organizzati, dotati di sovrastrutture, tra le quali rientra, appunto, la religione.
In particolare, la fede religiosa permette all’organizzazione mafiosa di ottenere consenso e, allo stesso tempo, giustificazioni, per molte delle azioni che vengono ordinate dai capi clan ed eseguite dagli associati.
Tale uso distorto della fede non è un’invenzione delle mafie ma è sempre esistita, e ancora oggi esiste, in tutte le organizzazioni, anche quella statale.
La religione può essere strumentalizzata per giustificare scelte egoistiche, presentandole come moralmente accettabili o addirittura necessarie: la benedizione divina permette di dare una connotazione positiva a comportamenti negativi, che, anche se apparentemente legati ai precetti sacri, e rispondono in realtà a interessi individuali o di un gruppo di potere.
Numerosi sono gli esempi che possono essere fatti in merito al legame tra le consorterie mafiose e religione locale, soprattutto per quanto riguarda il simbolismo iniziatico adottato dai gruppi malavitosi.
L’analisi che verrà effettuata nel presente elaborato riguarderànello specifico un confronto tra la modalità di strumentalizzazione della religione cattolica da parte delle consorterie italiane e dei riti animisti da parte della mafia nigeriana, evidenziando, altresì, la reazione da parte delle chiese ufficiali al fine di evitare tali fenomeni.
Tuttavia, nonostante la volontà di effettuare tale studio in particolare sulle associazioni di stampo mafioso italiane e nigeriane, occorre evidenziare che l’utilizzo della religione per motivazioni legate all’affiliazione al clan viene effettuato anche da parte di altre associazioni di stampo mafioso estere, tra cui la mafia cinese, dove l’elemento di base dei gruppi criminali sono le triadi, società segrete altamente gerarchicizzate che prevedono riti connessi alla religione confuciana[3]. Un ulteriore esempio, inoltre, è dato dalla Organizacija, ovvero l’insieme delle organizzazioni mafiose russe, che si connotano per prevedere per gli associati il compimento di riti di iniziazione simbolici, connotati anche da tatuaggi, volti a legare il singolo associato ad uno specifico clan[4]. In ultimo, per quanto attiene l’uso della religione per il consenso della popolazione e il controllo del territorio, si deve fare un rimando ai gruppi malavitosi georgiani, i quali inviano al proprio Paese il denaro proveniente dalle attività illecite al fine della restaurazione di edifici dedicati al culto.
Un focus sulle mafie nazionali
Le consorterie mafiose nazionali hanno da sempre avuto uno stretto rapporto con la religione cristiano cattolica[1]. Era il 1903 quando Don Luigi Sturzo, colui che poi fonderà il Partito Popolare Italiano, durante un congresso tenuto a Bologna sulla questione del mezzogiorno, si domandava il perché nelle regioni considerate più devote abbiano avuto origine i fenomeni legati alla criminalità organizzata.
Ma, per cercare di dare una risposta a questa domanda, occorre approfondire quello che è considerato il mito fondativo della mafia, ovvero la storia di tre cavalieri spagnoli, Osso, Mastrosso e Carcagnosso che, secondo la leggenda, nel 1400 raggiunsero l’isola di Favignana in fuga, dopo aver vendicato l’onore di una loro sorella violata[3].
Il mito si caratterizza per un forte simbolismo religioso. Secondo tale leggenda, i tre uomini, raggiunta la Sicilia, si rinchiusero per 29 anni, 11 mesi e 29 giorni all’interno delle cave di tufo dove idearono i rituali, che poi sarebbero divenute le regole delle società mafiose.
Trascorso tale periodo di isolamento, i tre uomini uscirono dalle cave e si divisero, così da diffondere le regole ideate. Uno rimase in Sicilia, il secondo si stabilì in Calabria e il terzo raggiunse la Campania.
La diffusione delle regole autoprodotte permise il radicamento e l'espansione della onorata società, garantendole un sistema normativo interno capace di legittimare il controllo sul territorio e sugli abitanti.
Il forte e simbolico ritualismo aiutava a tale scopo, permettendo di creare una società all’interno della società, un gruppo ristretto di uomini, scelti per le loro qualità, ed ammessi ad esserne parte dopo aver posto in essere alcuni comportamenti, espressi o taciti.
La ritualistica, nelle consorterie mafiose italiane, assume un ruolo fondamentale. Presenta delle enormi diversità da gruppo a gruppo ma, più questa è solenne, più gli appartenenti al gruppo criminale si sentiranno legati all’associazione e attueranno meno comportamenti di distacco, quali la dissociazione e la collaborazione[4].
C’è, altresì, una evidente correlazione tra i riti previsti dalle associazioni mafiose e quelli previsti dalla religione cattolica.
Si entra a far parte della comunità cristiana attraverso il battesimo. Il futuro fedele viene sottoposto ad una cerimonia che sancisce il suo ingresso all’interno del popolo di Dio. Allo stesso modo, si entra a far parte del clan mafioso attraverso il rito di iniziazione.
Sia se si è figli di associati, sia se si è membri esterni, l’ingresso dovrà sempre avvenire per mezzo di un comportamento connotato dal forte valore simbolico. Alcune consorterie presentano dei riti espressi, altre dei riti taciti, come i gruppi napoletani dove spesso l’ingresso è sancito dalla commissione di un primo delitto, anche grave.
Assume un ruolo rilevante il matrimonio. Per mezzo del matrimonio due famiglie si possono unire e, così facendo, creare una nuova famiglia connotata dai valori dell’associazione criminale, che possa crescere figli, futuri associati, proprio come avviene per i fedeli cattolici, dove il matrimonio ha come scopo quello di creare una nuova famiglia, conforme alle norme di Dio, volta a generare figli, cresciuti secondo le regole della religione.
Il matrimonio, così come gli altri sacramenti che vengono spesso svolti secondo il rito cattolico, non creano alleanze solamente tra due gruppi, ma possono ampliare i loro effetti per mezzo della scelta dei padrini di battesimo o di cresima o dei testimoni di nozze, tanto da portare il Vescovo di Reggio Calabria, nel 2014, a proporre la sospensione della figura del padrino.
Un altro evento di estrema rilevanza è quello del funerale. Gli appartenenti alla criminalità devono convivere con la morte; pertanto, il funerale assume un ruolo molto importante. Il clan saluta l’associato mediante riti solenni e maestosi e, il potere avuto all’interno dell’associazione lo si evince dalla maestosità dell’addio. Inoltre, anche quando l’addio è più sommesso, può presentare un simbolismo ancora più forte, come nel caso di Francesco Messina Denaro, fatto ritrovare all’angolo di una strada di campagna, pronto per la sepoltura, e ricordato con un memoriale anonimo per molti anni dopo la sua morte.
Come già evidenziato, è grazie al rito che l’associato si lega al gruppo di appartenenza in quanto è il rito a permettere al membro dell’associazione di sentirsi un prescelto e quindi che genera in lui la volontà di non tradire il gruppo di appartenenza.
I riti, però, rappresentano solo uno degli elementi del complesso rapporto tra mafia e religione, che si manifesta anche attraverso altri aspetti fondamentali, tra cui l’utilizzo della religione per controllare il territorio e della popolazione, ad esempio mediante la deviazione di processioni sotto l’abitazione dei boss, la costruzione di edicole volitive facenti riferimento ad una determinata famiglia, o ancora il possesso, presso la casa del capo clan, di statue sacre.
Inoltre, in considerazione del forte valore simbolico che contraddistingue la religione, questa viene spesso utilizzata per codificare i messaggi da trasmettere, tra i casi più significativi vi è sicuramente la Bibbia di Provenzano, ritrovata nel covo insieme al boss, e ricca di appunti e sottolineature, o ancora, le pronunce verso i magistrati di Michele Greco, durante il maxiprocesso del 1986.
4. Il magistero pontificio contro la mafia
Premesse le derive strumentali che caratterizzano la religione praticata all’interno dei gruppi mafiosi, è ora opportuno soffermarsi su come la Chiesa, sia locale, sia universale abbia cercato di contrapporsi alla religione manipolata dai clan.
Infatti, nonostante la sussistenza di alcuni valori formalmente comuni tra le due organizzazioni, come il rispetto per la famiglia, per l’onore, la fedeltà e l’obbedienza, la sottomissione al divino, il rispetto delle regole, dei riti e dei cerimoniali, i comportamenti posti in essere dalle associazioni si caratterizzano per essere antitetici rispetto all’etica cristiana. Tuttavia, la comunanza di alcuni valori, ha fatto si che la Chiesa accettasse la presenza della mafia, preferendola ad altre organizzazioni politiche e sociali, e creando l’attuale sistema di compromesso, nel quale molto spesso la comunità ecclesiastica si inchina alle esigenze mafiose, ad esempio prestando edifici per svolgere i propri summit oppure permettendo di deviare una processione.
Non tutti i sacerdoti hanno accettato le derive strumentali della religione mafiosa e alcuni di questi hanno perso la vita per tale dissenso. Tra questi occorre richiamare Don Pino Puglisi, assassinato a Palermo nel 1993 a causa delle sue azioni finalizzate per allontanare i ragazzi dalle associazioni malavitose e Don Giuseppe Diana, assassinato nel 1994 a Casal di Principe, anch’esso per il suo impegno antimafia. Inoltre, le comunità episcopali locali, si sono espresse numerose volte contro tutti quei fenomeni legati all’utilizzo manipolativo della religione, come l’uso della figura dei padrini, la deviazione delle processioni o le cerimonie maestose per funerali e matrimoni.
Anche i pontefici che si sono susseguiti hanno condannato il fenomeno della criminalità organizzata, sempre con maggior forza.
Una tra le prime condanne si deve richiamare quella di Papa Paolo VI, il quale invitò il Cardinale Ruffini ad esprimersi contro la mafia, al fine di dissociare la mentalità della mafia da quella religiosa, nel 1964.
Sempre al tal fine fu designato come Cardiale a Palermo S. Em. Salvatore Pappalardo, già conosciuto per il suo impegno antimafia. Tale scelta creò malcontento tra gli appartenenti a Cosa Nostra e, il Sabato Santo del 1983, quando il Cardinale si recò presso il carcere di Palermo per celebrare la messa, i detenuti legati ai gruppi mafiosi boicottarono in massa la cerimonia. Questo portò Sua Eminenza a pronunciarsi con minor forza contro la mafia.
A seguito delle stragi di mafia degli anni ’90, furono direttamente i pontefici a pronunciarsi contro la mafia.
Il 9 maggio del 1993, Papa Giovanni Paolo II, durante un’omelia celebrata ad Agrigento, presso la Valle dei Templi, si rivolse per la prima volta ai membri delle associazioni criminali invitandoli a convertirsi. Tale invito portò ad una reazione violenta da parte delle associazioni criminali che, il 15 settembre del 1993, dopo una serie di minacce, uccisero il sacerdote Pino Puglisi.
Successivamente, anche Papa Benedetto XVI, il 3 ottobre 2010, durante un incontro con i giovani palermitani, si pronunciò condannando apertamente la mafia, invitando i ragazzi a non cedere “alle suggestioni della mafia, che è una strada di morte, incompatibile con il Vangelo”.
In ultimo, la condanna più forte è avvenuta da parte di Papa Francesco, che durante l’omelia celebrata nella Piana di Sibari, a Cosenza, in occasione della visita pastorale in Calabria del 21 giugno 2014, si espresse dicendo “Coloro che nella loro vita seguono questa strada di male, come sono i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati!”[3].
La scomunica verso i mafiosi ha creato molti malumori tra gli appartenenti alla criminalità organizzata, tanto da portare alcuni appartenenti alla ‘ndrangheta, detenuti presso il carcere di Larino a disertare in blocco la messa in carcere, in quanto, se scomunicati, non valeva la pena andare a messa, realizzando un comportamento simile a quello avvenuto a Palermo con il Cardinale Pappalardo.
Papa Francesco, durante il suo pontificato, ha continuato a prestare molta attenzione alla problematica della criminalità organizzata. Per tale motivo il 9 maggio 2021, giorno della beatificazione del magistrato ucciso dalla mafia Rosario Livatino, il Pontefice ha istituito presso il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale un gruppo di lavoro sulla scomunica alle mafie, volto ad approfondire il tema delle mafie e a collaborare con i Vescovi del mondo e a promuovere e sostenere iniziative. Tuttavia, dopo alcuni anni di lavoro, il gruppo ha interrotto i suoi incontri in quanto le priorità per la Santa Sede sono considerate altre e il problema delle mafie è stato declassato a problema unicamente italiano e quindi di competenza della CEI.
In concreto, le pronunce papali non hanno prodotto risultati in termini di fuoriuscita degli associati dai gruppi criminali, ma hanno avuto un impatto importante sulla percezione popolare locale, aiutando a chiarire che gli atteggiamenti strumentali delle mafie non sono voluti dalla religione. In questo modo, si è rafforzata la consapevolezza che tali gruppi non agiscono in nome di Dio, ma distorcono la fede per fini criminali, prevenendo l’entrata di nuovi associati all’interno dei gruppi criminali.
La Mafia nigeriana e lo strumento del rito jujuper il controllo del potere
Analogamente a quanto avviene con la mafia italiana e l’uso strumentale della religione per il controllo degli affiliati e del territorio, anche la mafia nigeriana si serve dello strumento religioso per consolidare il proprio potere e ottenere sottomissione da parte degli associati.
Questa organizzazione, operante in tutto il mondo, pur caratterizzandosi per una evidente flessibilità dal punto di vista operativo, - sono molteplici i settori in cui la criminalità nigeriana opera, tra cui il traffico di droga, le frodi informatiche, il riciclaggio di denaro, la tratta di esseri umani e la prostituzione -, presenta un rigido sistema organizzativo, connotato da elementi rituali e simbolici predeterminati, idonei a vincolare gli affiliati e a garantire il loro legame con il gruppo, rafforzando così l’obbedienza e la coesione interna ed evitando fenomeni di collaborazione e uscita dall’associazione.
La religione tradizionale nigeriana presenta dei caratteri diversi rispetto alle religioni occidentali, in quanto è legata a pratiche animiste e spirituali, basate sul compimento di riti magici, denominati juju, che coinvolgono divinità, spiriti ancestrali e forze soprannaturali.
Per mezzo di questi riti viene controllata la popolazione locale, e, in particolare, a seguito di tali comportamenti si ottiene la fedeltà da parte delle vittime del traffico di esseri umani. Si tratta, infatti, di giuramenti rituali, posti in essere da sacerdoti, che creano un vincolo psicologico basato sulla paura di maledizioni o punizioni divine tra colui che li esercita e chi li compie.
Di particolare interesse è l’utilizzo che è stato fatto dello strumento juju per quanto riguarda la tratta delle donne da destinare alla prostituzione.
Le donne che decidono di venire in Europa pensando di lavorare onestamente, convinte e rassicurate da una persona di fiducia, vengono condotte in un santuario per essere sottoposte alla pratica religiosa, posta in essere da un sacerdote maschio, il Baba-Loa, e spesso con la presenza della donna che poi le accompagnerà in Italia in veste di maman.
La donna, durante il rituale, giura fedeltà ai trafficanti, promettendo di pagare il debito contratto per il viaggio. Il rito può essere correlato, per avere maggior valore simbolico, da comportamenti come quello di tagliarsi parti del corpo (unghie, capelli) o bere del sangue (anche animale). La cerimonia termina con la pronuncia, da parte del sacerdote, di maledizioni di morte o di pazzia per la vittima o la sua famiglia, in caso di mancato rispetto dell’obbligo pattuito e a seguito viene creato un talismano, che sigilla l’accordo con gli spiriti.
Il talismano viene tenuto dalla vittima, nella quale insorge la convinzione che, se lo dovesse perdere, incorrerebbe nella maledizione. In alcuni casi può restare in possesso del sacerdote o della maman al fine di avere ancora più controllo sulla ragazza.
Il rito crea un vincolo psicologico molto forte, tanto da portare le giovani a non disobbedire ai trafficati per non incorrere nella vendetta degli spiriti, così da evitare comportamenti anche di dissociazione o collaborazione e da garantire la fedeltà al clandi appartenenza.
Potrebbe sorgere la domanda sul perché alcune donne decidano di sottoporsi a un rito juju – così come ci si potrebbe chiedere perché gli 'ndranghetisti accettino il rito di iniziazione – ma tali pratiche sono considerate normali all’interno della cultura di appartenenza (nel caso della Nigeria, le religioni animiste), che le interpreta come strumenti per ottenere guarigione, protezione o favori spirituali. Ed è proprio questo che rende difficile, per le vittime, riconoscere il carattere coercitivo della cerimonia imposta dai trafficanti.
L’editto dell’Oba del Benin, Ewuare II, contro la tratta di esseri umani
Proprio come avvenuto con la scomunica papale, anche il capo religioso e politico dello Stato di Edo, l'Oba Ewuare II, nel 2018, ha deciso di convocare tutti i sacerdoti jujudello Stato e di pronunciare un editto volto ad annullare i giuramenti sigillati sulle donne vittime di tratta della prostituzione. Inoltre, in quella sede, l’Oba ha altresì pronunciato parole molto dure contro le associazioni criminali.
Grazie a tale editto è stato possibile per molte donne staccarsi dalla propria maman e, quindi, smetterla di svolgere l’attività legata alla prostituzione. Secondo alcune interpretazioni, infatti, considerata la posizione superiore dell’Oba rispetto ai sacerdoti, nel caso in cui un Baba-Loanon avesse annullato una maledizione o avesse posto in essere altri riti, sarebbe morto o impazzito, invertendo, così, la condanna comminata alle giovani.
Percepito il pericolo dato da tale editto, che avrebbe causato una perdita di potere da parte delle maman sulle ragazze, queste hanno interpretato, e spiegato, l’editto in altro modo. È stato detto che era da applicarsi solamente ai rituali celebrati nello Stato dell’Edo oppure che la competenza sui riti spettava unicamente ai sacerdoti e non all’Oba, seppur superiore ai singoli Baba-Loa.
Conclusioni
Tra le principali caratteristiche che distinguono le associazioni criminali di stampo mafioso vi è sicuramente la struttura organizzata, spesso formalizzata al pari di quella statale.
Per mezzo della religione è possibile controllare la popolazione e il territorio, legare gli affiliati per mezzo di qualcosa di sacro – o di una maledizione -, impedendo così azioni dissociative o di collaborazione.
Pertanto, la scelta dei leader religiosi di pronunciarsi per mezzo di strumenti quali la scomunica latae sententia o l’editto, è di estrema importanza e rilevanza in quanto slega la religione ufficiale da eventuali strumentalizzazioni operate dalle organizzazioni mafiose, segnando una netta distinzione tra la fede autentica e fede mafiosa. In questo modo, si evidenzia come la religione ufficiale non solo prenda le distanze dalle strumentalizzazioni mafiose, ma le condanni apertamente, cercando di destrutturare le credenze dei gruppi malavitosi per riaffermare i principi etici e spirituali che si contrappongono radicalmente all’uso distorto della sacralità a fini criminali.
Comprendere la modalità di destrutturazione del pensiero manipolatorio religioso-mafioso potrebbe essere di estrema rilevanza in quanto permettere di agire sulla popolazione locale, sia sugli associati che sulle vittime dei gruppi criminali, per prevenire ulteriori comportamenti delittuosi da parte dei gruppi criminali e favorire condotte di dissociazione o collaborazione con la giustizia.
D’altra parte, è necessario riprendere le riflessioni di Santi Romano e interrogarsi su un possibile effetto collaterale di tali pronunce. Slegare, in modo permanente, la religione ufficiale da quella strumentale mafiosa potrebbe favorire la nascita di culti paralleli, ponendo il fedele affiliato di fronte alla scelta radicale di aderire alla fede originaria oppure esclusivamente quella mafiosa, rafforzando ancor di più il vincolo con l’organizzazione criminale.
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