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Storie di Serial killer e il male del vivere



Autore: COVALEA dr.ssa Nicoletta

ISSN: 2785-0692


Covalea Nicoletta






Sommario:

  1. Introduzione;

  2. Patologie del Serial Killer;

  3. Donne Serial Killer;

  4. Angelo della Morte;

  5. Sonya Caleffi;

  6. Conclusioni;

  7. Bibliografia.










  1. Introduzione

Quando leggiamo o ascoltiamo notizie di omicidi seriali, nella nostra mente scattano domande che inconsapevolmente spingono il nostro inconscio ad indagare nel labirinto più oscuro della mente umana. Cosa spinge un individuo a commettereuno o più serie di omicidi? Quali i meccanismi psicologici celati dietro la mente del serial killer?

Ecco che così, l’immagine del serial killer viene spesso associata a quella diabolica, inumana, bruta. 

Da fenomeni che hanno segnato la storia evolutiva dell’umanità che quasi quotidianamente turbano la società nella quale viviamo, alla comprensione delle dinamiche psicologiche che spingono l’individuo a compiere atti così efferati, l'omicidio seriale continua ad essere un enigma tanto affascinante quanto inquietante.

L’omicidio seriale è un termine comunemente utilizzato per definire un fenomeno che ha permeato la storia dell'umanità sin dalle sue origini. Da tale periodo sono esistiti infatti, molteplici e numerosi autori di omicidi plurimi, assassini a ripetizione, individui affetti da devianti comportamenti omicidiari. Tali soggetti, che presentano caratteristiche riconducibili alle attuali definizioni di “serial killer”, sono quelli che hanno segnato l’evoluzione criminologica del comportamento omicida.

In Europa, tra il XIV e il XV secolo, si è verificato un emergere di comportamenti delittuosi analogo a quello che oggi potrebbe essere definito omicidio seriale, caratterizzato da componenti deliranti e/o a sfondo sessuale, atti omicidiariche evidenziano un raffronto con i moderni serial killer, poiché manifestati in contesticompletamente privi di motivazioni politiche o di ricerca di potere.

Con il termine inglese “killer”, “to kill”, tradotto in italiano, “uccidere”, viene comunemente indicato l’assassino, ma non il serial killer, in quanto fra i due termini vi è una differenziazione sostanziale, ossia, il numero degli omicidi commessi e i modelli comportamentali associati.

Il termine generico "assassino" viene attribuito a chiunque commette un omicidio, sia esso singolo o multiplo per vendetta, passione, profitto o altro.

Con il termine specifico "serial killer," invece, ci si riferisce ad un individuo che commette tre o più omicidi multipli, in luoghi e tempi distinti, alternando periodi di raffreddamento tra l’uno e gli altri i quali mirano a specifici gruppi di vittime con comportamenti ritualistici. Questi ultimi, sono individui che molto spesso seguono modelli comportamentali caratteristici e vengono spinti da motivazioni psicologiche complesse, quali il bisogno di controllo, il desiderio di potere o il soddisfacimento di fantasie patologiche.

Dopo un’attenta analisi condotta dall'FBI sui profili criminali di numerosi assassini è emersa una classificazione dettagliata degli omicidi seriali, sormontando la semplice definizione di "serial killer". Gli agenti federali, attraverso un'attenta disamina dei casi, hanno così individuato tre categorie distinte di autori di omicidi multipli, ciascuna con caratteristiche psicologiche e comportamentali peculiari.

Dette categorie sono state distinte in tre principali tipologie. L'omicida di massa che si caratterizza per la commissione di un elevato numero di omicidi in un singolo evento o in un breve intervallo di tempo, spesso concentrati in un unico luogo. Di solito, il  movente è influenzato da sentimenti di rancore, vendetta o ideologie estremiste.

Il cosiddetto spree killer, invece, compie una serie di omicidi in differenti location, tutti avvenuti in un breve lasso di tempo e senza soste significative tra un crimine e l'altro. Tendenzialmente, sono impulsivi e scaturiscono da eventi scatenanti, come crisi personali o conflitti.

Infine, vi è il serial killer che si distingue per l'omicidio di più vittime in episodi separati, con intervalli considerevoli di tempo tra un omicidio e l'altro. I crimini in questa sezione sono solitamente ben pianificati e motivati da fantasie o impulsi patologici.

Possiamo affermare quindi che, mentre tutti i serial killer sono assassini, non tutti gli assassini possono essere definiti serial killer!

Nel libro "Anatomia del serial killer", De Luca, psicologo e criminologo, propone una definizione più ampia e inclusiva di assassino seriale. Secondo lo stesso, non può essere considerato tale solo chi commette ripetuti omicidi, ma anche coloro che, pur non compiendo direttamente l'atto, esercitano una significativa influenza psicologica su altri, inducendoli ad uccidere per loro conto. Questa visione, ampliata, permette di riconoscere figure criminali spesso sottovalutate, come gli assassini su commissione o i membri di organizzazioni criminali motivati da interessi personali.

De Luca, puntualizza l'importanza della presenza della volontà omicida, a prescindere dal suo realizzarsi. Anche i tentativi di omicidio vengonoannoverati in questa definizione, in quanto testimoniano una propensione psicologica costante verso atti di violenza mortale, inoltre, l'autore sottolinea che la figura del serial killer non deve necessariamente essere vista come quella di un individuo isolato, ma anche coppie o gruppi che operano in modo sinergico.

Date accurate analisi comportamentali degli assassini seriali che hanno permesso di identificare una serie di fasi che caratterizzano il processo di commissione di tali crimini, è emerso che si parte da uno stato iniziale, contraddistinto da fantasie violente significative e da una forte distorsione della percezione della realtà. In un secondo momento l'assassino entra in una fase di selezione e monitoraggio della vittima, preparandosi a colpirla e una volta scelta, il killer si avvicina ad essa con l'inganno, terminando poi nella cattura, momento in cui la vittimanon solo viene isolatama anche resa vulnerabile. L'atto omicida segna il picco della violenza, mentre nella fase successiva, totemica, il criminale conserva oggetti o resti della vittima come simboli, trofei della sua vittoria.

La ricerca criminologica, negli ultimi decenni, ha ampliato la sua attenzione non solo sulla descrizione delle fasi di un omicidio seriale, ma anche sull'esplorazione dei fattori psicologici, sociali e culturali che contribuiscono alla genesi di tali comportamenti devianti. Inizialmente, ci si concentrava sulla classificazione degli assassini seriali in base al modus operandi, distinguendo tra omicidi organizzati e disorganizzati; oggi, invece, si adotta un approccio più complesso, che considera variabilità l'infanzia, il contesto familiare, le esperienze traumatiche e la personalità.


  1. Patologie dei serial killer

L'analisi del profilo psicologico dei serial killer è una tematica centrale nella criminologia, poiché consente di esplorare le peculiarità comportamentali e le caratteristiche dei soggetti coinvolti in crimini seriali. Diverse ricerche hanno evidenziato che molti di questi criminali manifestano tratti riconducibili al Disturbo Antisociale di Personalità e alla psicopatia.

La psicopatia è un costrutto complesso che descrive individui privi di empatia, con un elevato grado di egocentrismo ed una forte tendenza, abbastanza marcata alla manipolazione. Tali individui sono spesso in grado di mascherare la loro vera natura dietro quelle che si definiscono le "maschere di sanità mentale", apparendo integri e normali agli occhi della società. Impulsività e irresponsabilità, accompagnati da un sostanziale disprezzo per le norme sociali, sono comportamenti caratteristici.

Nei serial killer, si osserva una sinergia tra tratti psicopatici e antisociali. Attraverso le loro azioni violente, esprimono un senso di potere e di controllo sugli altri. Spesso, le storie personali sono segnate da esperienze traumatiche e relazioni interpersonali difficili, fattori che giocano un ruolo cruciale nello sviluppo di una personalità disturbata e incline alla violenza.

È comune per i serial killer possedere una notevole intelligenza, che spesso si accompagna a difficoltà relazionali e ad una sensazione di alienazione. Durante l'infanzia, attraversano un periodo di isolamento sociale e mostrano comportamenti deviantisegnalati da manifestazioni come la piromania, la crudeltà verso gli animali e l'enuresi notturna prolungata. Questi comportamenti, contendendo il cosiddetto "triade di MacDonald", sono considerati indicatori precoci di possibili sviluppi verso una violenza futura.

Un interesse per la violenza e la morte, che può manifestarsi già in giovane età attraverso fantasie morbose e giochi crudeli, è spesso osservato in questi individui. Molti di loro presentano un’alta propensione ad una sessualità deviante, caratterizzata dalla fascinazione per pratiche sadomasochistiche e pornografia violenta.


  1. Donne Serial Killer

Dietro la maschera della normalità, si celano spesso abissi oscuri. Mentre il profilo del serial killer maschile è stato ampiamente studiato e dibattuto, quello femminile è rimasto a lungo nell'ombra, spesso trascurato o addirittura negato. La persistente convinzione che gli omicidi seriali siano un fenomeno esclusivamente maschile, motivato da pulsioni sessuali pervertite, ha a lungo oscurato la complessità e la varietà delle manifestazioni criminali femminili.

Ricerche più recenti hanno invece dimostrato in modo inequivocabile che le donne sono in grado di commettere omicidi seriali, sfidando così i preconcetti di genere e le semplificazioni interpretative del passato. Se è vero che le motivazioni e le modalità operative delle donne serial killer presentano alcune specificità rispetto a quelle degli uomini, è altrettanto vero che il fenomeno non può essere ignorato o sottovalutato.

L'analisi comparata dei profili criminali dei due generi rivela differenze significative, sia in termini di motivazioni che di modalità esecutiva. Le donne serial killer, tendenzialmente, sembrano essere più propense ad uccidere persone a loro legate, come familiari o pazienti, e le loro azioni sono spesso motivate da ragioni di tipo economico, vendicativo o relazionale. Ad ogni modo, è fondamentale ricordare che questa distinzione non è indeformabile e che esistono numerosi casi in cui le donne serial killer hanno dimostrato una crudeltà ed una perversione paragonabile a quella degli uomini.

Il fenomeno delle donne serial killer ha suscitato un crescente interesse all'interno della criminologia moderna, sfidando le precedenti narrazioni che tendevano a minimizzarne l'importanza o a stereotipizzarle.

Le assassine seriali spesso scelgono vittime con cui hanno sviluppato un legame affettivo o relazionale, quale può essere il partner, membri della famiglia e nondimeno, conoscenti. Questa dinamica non solo facilita l'accesso alle vittime, ma permette anche di mascherare le vere intenzioni dietro una facciata di normalità. I metodi di omicidio più comuni tra le donne vanno dallo strangolamento all’avvelenamento, tecniche cheoltre a non richiedere la stessa forza fisica, fanno leva sulle abilità di manipolazione e controllo psicologico.

Gli omicidi avvengono prevalentemente in contesti domestici, nei quali le donne esercitano spesso ruoli di caregiver o confidente. Queste posizioni di fiducia consentono loro di stabilire relazioni intime con le vittime, favorendo l'illuminazione di circostanze apparentemente innocue. La scelta di armi o metodi meno palesi contribuisce a protrarre le loro azioni per periodi significativi, complicando le indagini e le operazioni di identificazione da parte delle forze dell'ordine.

 

La figura della donna serial killer non solo solleva interrogativi riguardo alle aspettative sociali e culturali riguardanti la violenza, ma mette in luce anche le complessità insite nelle dinamiche di genere. La capacità di queste donne di nascondere le loro vere intenzioni e di sfruttare relazioni di fiducia per raggiungere i loro scopi rende il panorama investigativo estremamente complesso e sfumato.

Il profilo psicologico delle donne serial killer, sebbene meno studiato rispetto a quello degli uomini, rivela una complessità ed una varietà di motivazioni che sfidano ogni stereotipo. Ricerche condotte hanno permesso di identificare diversi sottotipi di assassine seriali, ciascuno caratterizzato da specificità psicologiche e comportamentali.

Un primo profilo è quello della "vedova nera", una donna manipolatrice e calcolatrice che uccide sistematicamente i propri partner o familiari per motivi economici. La sua capacità di mimetizzarsi e di conquistare la fiducia delle vittime la rende particolarmente pericolosa.

Un altro tipo di assassina seriale è quella che viene definita "angelo della morte". Spesso infermiere o assistenti sanitarie, queste donne sfruttano la loro posizione per porre fine alla vita dei pazienti di cui si prendono cura. Le motivazioni possono essere diverse, ma spesso si riscontra un bisogno patologico di controllo e di potere sulla vita e sulla morte altrui.

Le "predatrici sessuali" rappresentano un sottogruppo di assassine seriali caratterizzato da una forte componente sessuale nei loro crimini. Similmente agli uomini, queste donne selezionano le loro vittime in base al sesso e utilizzano la violenza sessuale come mezzo per soddisfare i propri impulsi.

Le "vendicatrici" uccidono per ragioni legate a vendette personali o ad un profondo senso di ingiustizia. Spesso, le loro vittime sono persone che le hanno tradite o ferite in passato.

Le "assassine per profitto" commettono omicidi per ottenere un vantaggio economico. A differenza delle "vedove nere", queste donne agiscono spesso al di fuori del proprio nucleo familiare e sono coinvolte in attività criminali più complesse.

Le "assassine in gruppo" rappresentano un fenomeno meno frequente, caratterizzato dalla presenza di più autori, sia uomini che donne. Questi gruppi agiscono spesso in modo coordinato e pianificato, e i loro crimini sono spesso motivati da pulsioni sadiche o da un bisogno di potere e controllo.

Infine, e non meno importante, troviamo le "assassine psicotiche", donne che uccidono in seguito a deliri o allucinazioni. I loro crimini sono spesso il prodotto di una malattia mentale grave e non sono motivati da ragioni razionali.

Il fenomeno dell'infanticidio seriale perpetrato da madri, pur meno frequente rispetto agli omicidi seriali commessi su adulti, presenta delle peculiarità che lo rendono particolarmente complesso e inquietante. Due tra le principali motivazioni che spingono una donna ad uccidere ripetutamente i propri figli sono la “Sindrome di Munchausen per procura” e il “complesso di Medea”.

La “Sindrome di Munchausen per procura” rappresenta un disturbo mentale grave in cui il caregiver, solitamente la madre, simula o induce deliberatamente malattie o lesioni nel bambino sotto le proprie cure. L'obiettivo primario di questo comportamento patologico è quello di attirare l'attenzione su di sé, assumendo il ruolo di vittima e di eroe al tempo stesso. La madre, fingendosi preoccupata per la salute del figlio, lo sottopone a numerosi esami e trattamenti medici, spesso invasivi e dannosi, fino a causarne la morte. L'ospedale diventa così il palcoscenico sul quale la madre inscena la sua tragedia personale, ricavandone oltre ad una gratificazione narcisistica anche un senso di potere.

Il “complesso di Medea”, invece, è legato a dinamiche relazionali disfunzionali e ad un profondo senso di risentimento nei confronti del partner. La madre, spinta da un desiderio di vendetta e di controllo, uccide i propri figli per punire il marito e privarlo di ciò che ama di più. Questo gesto estremo è spesso motivato da un senso di onnipotenza e da un bisogno di affermare il proprio dominio sulla vita e sulla morte. L'infanticidio, in questo caso, diventa uno strumento di manipolazione e di controllo sulle relazioni affettive.

Entrambi questi profili psicologici evidenziano come l'infanticidio seriale perpetrato da madri sia spesso motivato da disturbi mentali gravi e da una profonda disfunzione nella relazione madre-figlio. La complessità di questi casi rende le indagini particolarmente difficili, in quanto le madri serial killer sono spesso in grado di manipolare le figure professionali coinvolte nelle cure del bambino e di simulare un quadro clinico convincente.


4.     Angelo della Morte

La figura dell'Angelo della Morte rappresenta un caso emblematico di come la professione sanitaria possa essere strumentalizzata per fini criminali.

Rappresentata da una figura peculiare all'interno della criminologia, caratterizzata da una dinamica omicida, si differenzia significativamente da quella dei serial killer tradizionali. A differenza di questi ultimi, che intraprendono attivamente la ricerca di vittime, l'Angelo della Morte trova le sue prede all'interno del proprio ambito professionale, spesso in contesti assistenziali come ospedali o case di cura. Questa peculiare condizione consente di agire indisturbato, celando i propri atti criminali sotto la parvenza di cure mediche sfruttando la vulnerabilità delle vittime.

La figura dell'Angelo della Morte è caratterizzata da una complessità psicologica che si manifesta attraverso una duplicità di ruoli: da un lato, quello del professionista sanitario dedito alla cura e all'assistenza, dall'altro quello dell'omicida che, celato dietro una maschera di benevolenza, infligge sofferenze e morte. Questa dicotomia tra "sé curativo" e "sé distruttivo" rappresenta il nucleo centrale della personalità di questi killer.

Spesso, alla base di questi comportamenti vi è un delirio di onnipotenza che li porta a credere di avere il potere di decidere della vita e della morte altrui. In alcuni casi, si riscontra una dinamica di compensazione, in cui l'omicidio rappresenta una forma di affermazione del proprio valore e di superamento di sentimenti di inferiorità rispetto ad altre figure professionali, come i medici. Inoltre, alcuni Angeli della Morte giustificano i propri atti invocando motivi umanitari, sostenendo di porre fine alle sofferenze dei pazienti.

I casi di Leonardo Cazzaniga e Laura Taroni, Fausta Bonino ed Edson Izidoro Guimaraes rappresentano paradigmi emblematici del fenomeno degli Angeli della morte.

Nel caso di Cazzaniga e Taroni, il movente sembra essere stato un connubio perverso tra desiderio di potere, lucratività ed una patologica attrazione per la morte. La coppia ha infatti agito in modo metodico e pianificato, selezionando le vittime e somministrando loro dosi letali di farmaci.

Bonino, invece, sembra essere stata spinta da un bisogno di controllo e di onnipotenza, esercitando un potere di vita e di morte sui pazienti affidati alle sue cure. La sua condotta, apparentemente altruistica, celava un profondo disagio psicologico che l'ha portata a compiere atti efferati.

Guimaraes, d’altra parte, ha giustificato i suoi omicidi invocando motivi umanitari, affermando di voler alleviare le sofferenze dei malati terminali. Tuttavia, le indagini hanno rivelato come dietro questa facciata si celasse un interesse economico, legato ad una stretta collaborazione con un'agenzia funebre.

  1. Sonya Caleffi

Nata a Como nel 1970, Sonya Caleffi ha incarnato la perversione della figura dell'infermiera, trasformando il suo ruolo di guaritrice in quello di carnefice. Tra il 2003 e il 2004, all'interno delle mura sacre di diversi ospedali, ha inscenato una macabra liturgia, ponendo fine alle vite di cinque anziani pazienti e tentando di spegnere la fiamma vitale di altri due.

Con azione metodica e precisa, ha iniettato aria nelle vene delle sue vittime, provocando embolie letali, un gesto apparentemente semplice, ma che cela una complessa dinamica psicologica, un desiderio oscuro e forte di controllo sulla vita e sulla morte.

La storia di Sonya Caleffi si dipana come un cupo filo conduttore, intrecciando fragilità psicologica, alienazione sociale e una crescente pulsione distruttiva. Fin dall'adolescenza, segnata da una profonda depressione e disturbi alimentari, la giovane donna manifesta un disagio esistenziale che la allontana progressivamente dalla vita. L'influenza di una madre che sembrava aver perso ogni motivazione a vivere ha innescato in lei un meccanismo di identificazione perverso, proiettandola verso una visione distorta della vita e della morte.

Formatasi come infermiera, la Caleffi ha trovato nel suo lavoro una duplice valvola di sfogo: una legittimazione sociale per il suo bisogno di controllo e una pericolosa vicinanza alla morte, che sembrava esercitare su di lei un fascino morboso. L'instabilità relazionale, testimoniata da un matrimonio naufragato e da una vita sentimentale segnata da isolamento e dipendenza, ha ulteriormente aggravato il suo disagio interiore, ed è proprio in questo contesto che si sviluppa la sua ossessione per la morte, manifestatasi inizialmente attraverso tentativi di suicidio e, successivamente, attraverso una serie di omicidi metodicamente pianificati. La scelta delle vittime, spesso anziani e malati, rivela una precisa volontà di porre fine a vite che, ai suoi occhi, erano già destinate a spegnersi.

La vicenda di Sonya Caleffi rappresenta un enigma inquietante, che intreccia elementi di una complessità psicologica profonda con una premeditazione criminale apparentemente fredda. La confessione parziale, le contraddizioni nelle dichiarazioni, la passione per la lettura di testi incentrati sulla morte e la malattia, la presenza di dettagliati appunti sui pazienti, delineano un profilo psicologico sfaccettato, perverso e disturbante.


  1. Conclusioni

Il fenomeno degli omicidi seriali, particolarmente il caso di Sonya Caleffi, solleva una serie di interrogativi complessi che sfidano le nostre comprensioni sulla natura umana e sulla complessità del comportamento criminale. Se da un lato le indagini psicologiche e criminologiche hanno permesso di delineare profili tipici individuandone fattori di rischio, dall'altro è evidente che ogni caso presenta peculiarità che sfuggono ad ogni facile classificazione.

La figura dell'angelo della morte, personalità pienamente incarnata da Sonya Caleffi, rifletteinfine, sulla fragilità del rapporto di fiducia che lega il paziente al professionista sanitario.


  1. Bibliografia

 Io serial killer, VM Mastronardi , R De Luca - 2011

Assassini seriali, M Seltzer, Differenze: una rivista di studi culturali femministi - 1993

Serial killer : I. Sottotipi, modelli e moventi, L Miller - Aggressione e comportamento violento - 2014

Assassine. Storie di (stra) ordinaria normalità, A Ganci – 2017

Serial killer : il metodo e la follia dei mostri, P Vronskij - 2004






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